In questa quarantena ho letto tanto: libri, riviste, volumi di studio e altri delle elementari per via del piccolo. Mi sono informata in tv, sul tablet tra tg, siti web più o meno attendibili. Un flusso continuo di parole e lettere, una dietro l’altra. Non tutto è stato messo a fuoco, una piccola parte ha illuminato le mie giornate e una o due pagine si sono scolpite nella mia mente. Ma in tutto questo ho un po’ messo da parte il blog, credendo davvero che scrivere in questa tormenta fosse la cosa meno appropriata. Pochi post, alcuni già pianificati pre-virus, pochissime foto. Ho avuto modo di riflettere, tanto. Un po’ come tutti voi. E mi sono accorta di una deriva commerciale della maggior parte di tutti blog. Pochi, pochissimi tengono fede alla loro natura, nascendo e rimanendo uno spazio fluido di pensieri in ordine e disordine, senza stare troppo a pensare all’immagine che si dà. Nasceva nel 1997 come “diario online”: oggi invece, vetrina di vendita di molti servizi alla ricerca di clienti. Non è il solito “prima era meglio”. Anzi, sono nate vere e proprie figure lavorative intorno al blog, si sono aperte partite iva e piccole start-up. Ma ripeto: quanto c’è di disinteressato in tutto questo? Nulla. Semplicemente, e forse lo devo capire anche io, è un’altra cosa. Però fatemi prendere dalla malinconia, da quel sentimento di scrittura dettato dall’esigenza interiore e non da quella di un cliente frettoloso. Oggi, dopo oltre 50 giorni, tutti rivogliono la loro normalità: ma siamo davvero sicuri che sia quella la strada giusta?

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