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Guardo mio figlio giocare: piedi scalzi, ginocchia sporche, maglietta che nemmeno ve lo dico. Ride e corre come bere, all’intensità della luce, senza pause. Giusto il tempo di fare al volo la pipì e riprendere in mano quello che di più serio sta facendo: giocare. Senza regole, senza ruoli, senza adulti, senza minacce architettoniche o barriere urbane. È immerso come non mai a capire, nella sua solitudine ( che nemmeno lui conosce e sa usare) a scoprire se stesso. Nel bel mezzo di questo giugno già caldo, fatto di mare e tardi pomeriggi, lo guardo crescere e un secondo dopo mi sembra già più grande. È lui, sempre più padrone di se stesso, vuole solo che tutto questo mondo sia suo: ma con i suoi tempi, i suoi dubbi ( tanti dubbi), le sue paure e i suoi tanti entusiasmi. Non chiede giochi, corsi o lezioni, attività extra o compleanni. Chiedi solo tempo, libertà e colori. Tanti colori per disegnare, scarabocchiare e uscire fuori dai bordi. Perché non c’è nulla di più bello a quattro anni che uscire dai bordi, leggere al contrario, strappare fogli, fare lentamente, camminare scaldi, distrarsi e urlare, parlare a vanvera, autogestire il proprio tempo.

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