Io la mia me la ricordo come fosse ieri. Una biciclettina rossa con le rotelle. Cestino e campanello al loro posto. Appena uscita dal negozio con i miei genitori mi sono messa in sella e ho pedalato come una matta nel parcheggio, tra macchine e pedoni. È uno dei pochi ricordi nitidi dei miei tre anni. Oggi, a distanza di trent’anni è mio figlio che mi chiede: “Mamma mi compli la bici?”. “Ma hai solo due anni e mezzo, sei piccolino, aspettiamo quando sei più grandicelli”. E lui: ” Io glande, volio bici. Bici mamma, bici mamma”. Lui la bici l’ha vista fin da quando è nato e adesso che corre, si arrampica e salta il seggiolino comincia a stargli stretto. L’idea di vederlo indipendente su una due ruote, ammetto, mi mette un po’ di ansia. Ma a dispetto dei tanti giochi inutili che vengono regalati, la bici è un piccolo traguardo di crescita importante. Crea autonomia, allena alla concentrazione, stimola la capacità di gestire un pericolo, accresce un buon sviluppo del sistema locomotorio. E poi fa divertire i bambini come matti. La caduta, ovvio, è da mettere in conto. Ma come del resto quelle della vita. Caschetto in testa e si riparte. È un modo facile ed economico per far stare i bimbi all’aria aperta, per farli muovere senza comandi dall’alto, per renderli individui più liberi di decidere dove andare e quando fermarsi. Per me tutto questo è avvenuto naturalmente e immaginare bambini che ai nostri giorni prendono la bici solo un’oretta la domenica o addirittura non ci sanno andare mi fa venire una gran tristezza. Andare in bici è un po’ come nuotare. S’impara da piccoli perché quando si è piccoli si è più spavaldi, impavidi, sprezzanti di ogni pericolo. Lasciare la mano nell’acqua o togliere le rotelle è la stessa cosa. Si ha paura ma il brivido della libertà rende più forti.

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