Eh sì, neanche due giorni che non sono a Rimini e già mi manca la mia bicicletta. Perché la verità è che in macchina meno ci vai e meno ci vuoi andare: insofferenza all’abitacolo e ai suoi abitanti tutti schiacciati vicini, insofferenza al quel finto calore che esce dalle bocche dell’auto e rende la macchina una specie di sauna ambulante, insofferenza ai continui stop-semafori-file-code che si creano lungo la strada, insofferenza verso la ricerca del parcheggio che non c’è mai (maiiii). Ma non finisce qui. Perché andare in macchina vuol dire rodersi il fegato costantemente con qualcuno: quello stupido che ha frenato all’ultimo, quello che ti ha rubato il posto, il tuo guidatore che vorrebbe parcheggiate dentro il supermercato e fa dieci volte il giro del quartiere e pretende che tu affianco resti in silenzio. Allora c’è quello che urla, quello che che insulta sbraitando, quello che abbassa il finestrino e ti minaccia oppure quello che gesticola in aramaico. Una specie di esperimento umano per vedere fino a dove si può spingere la pazienza. La mia cede. Da tre giorni i miei spostamenti si sono ridotti alle quattro ruote. Si deve comprare il latte? Macchina. Si deve andare al parco? Macchina. È tutto uno scendere e salire, aprire e chiudere lo sportello. L’unica vera ginnastica di questa settimana di Natale.

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