Il mio ha due mesi e già parla.

Noooo, il mio ha iniziato a camminare a sei mesi.
Maddddaaai, Francesco pedalava già a due anni ma abbiamo preferito iscriverlo a scuola di vela.
Scuola di vela?
Sì, sì, tanto già nuotava da solo a un anno… Sai era poco socievole e a sei mesi abbiamo pensato a un corso di nuoto…
Certo, hai fatto bene, in effetti Riccardo ha due anni e non dice una parola… non è socievole, anzi.
Hai sentito un dottore?
Fatto.
Uno specialista?
Fatto.
E quindi?
Niente, bisogna aspettare… ha bisogno di più tempo.
Ecco il tempo, quello che noi genitori non vogliamo dare ai nostri figli. Il tempo di crescere senza ansia di prestazione nei confronti degli altri.
Persino loro, le nostre piccole creature, sono diventate per noi genitori una corsa contro il tempo per dimostrare. Certo, per dimostrare quanto siamo stati bravi, quanto nostro figlio già parla, cammina, spiega, corre, ride, scrive e legge. Prima di tutti. Prima che scada il tempo. Qualcosa che ci divora dentro, per la paura che qualcuno possa trovare quel nostro bimbo più strano, più lento, più taciturno, più asociale, più timido, più diverso. Aspettare senza travolgere gli eventi e senza troppo aspettative assomiglia a qualcosa di anacronistico. Così, prima impara a fare tutto da solo, prima lo possiamo iscrivere a un corso, a una gita, a una gara, al circolo vizioso delle famose “attività”. Perché il solo obiettivo è fargli fare esperienza, senza pensare davvero a dargli il tempo di crescere, di formarsi come essere umano e così di essere pronto ad affrontare ogni tipo di esperienza.

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